Pontiak @ Circolo Degli Artisti [Roma, 10 aprile 2014]

Attitudine e visual:
Potenza secca e martellante che penetra nelle ossa col suo miscuglio liberatorio di psichedelia, stoner, blues polveroso e hard rock e che invade il palco del Circolo degli Artisti con cariche di furiosa energia. Il fumo si mescola alle luci, dimezzando la vista, acuendo i labili contorni, allontanando il particolare effimero e amplificando la forza dell’ascolto. I tre fratelli Jennings, Van e Lain Carney sono come un terremoto pronto a creare scompiglio, come una carica di esplosivo pronta a deflagrare. In un fitto gioco di accelerazione e decelerazione, la figura di Van sembra trasfigurare un serpente che si contorce e non lascia mai la sua preda, mentre i mari di riff duri e graffianti si insidiano tra le sabbie sporche di una sezione ritmica incendiaria e le voci sciamano tra echi e vibrazioni criptiche.

 

Audio:
Volumi altissimi, per un suono pieno, perfetto e colmo di quell’imponenza di fuoco tipica della band, fanno tremare la sala lasciando pompare il muro sonoro fino all’inverosimile.

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Setlist:
Interagendo a più riprese col pubblico, la band pesca a piene mani sia dall’ultimo Innocence che dal passato, aprendo con Ghosts eShining per poi proseguire con Shell Skull, Surrounded By DiamondsPart III (dall’Ep Comecrudos), We’ve got it Wrong, Layaway, l’estatica Expanding Sky (da Echo Ono del 2012), White Hands, Royal Colors, It’s The Greatest, Lack Luster Rush, Innocence, Lions Of Least, Beings Of The Rarest, concedendo infine anche un fulmineo quanto luciferino bis.

Momento migliore:
Un’emozione sonica da vivere nella sua più assoluta completezza, mentre l’apocalisse di suoni si impadronisce di tutto.

Pubblico:
La musica dei Pontiak è come un contagio che infetta tutti i presenti, uno sciame sismico che fa muovere il nutritissimo pubblico, mentre l’irruenza sonora li incatena tutti.

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Locura:

“Fuckin’ yes! This is Sambuca” così esordisce Van Carney appena salito sul palco…e dopo un brindisi “corale” a colpi di shots il concerto può cominciare in grande stile.

Conclusioni:
Un live dall’animo cattivo e travolgente che ammalia per la sua non celata forza primordiale e ancestrale. Un concerto che conferma con vigore quel monito scritto per gli ascoltatori tra le note di copertina di Echo Ono“Please, Listen At Full Volume”.

(pubblicato su www.rocklab.it)

 

Pontiak @ Circolo degli Artisti (Roma) – 01/03/2012

Attitudine e Visual: Il sound dei Pontiak con l’ultimo album Echo Ono si è fatto decisamente più metallico e aggressivo, allontanandosi dalle ritmiche “fumose” di Maker e Living. Tra tappeti di feedback e fragori serrati, tale impeto “rumorista”, sempre sapientemente compatto e concitato al contempo, si è reso evidente anche in sede live attraverso i perfetti incroci vocali e le calde fusioni di basso, chitarra e batteria del trio della Virginia. La presenza scenica di Jennings Carney, Van Carney e Lain Carney è riuscita a coinvolgere in modo travolgente il pubblico del Circolo Degli Artisti, mentre le movenze impetuose e le sonorità incendiare della band hanno preso vita attraverso le stranianti distorsioni, i giochi di sguardi e le alternanze di battute ritmiche e di controtempi tra i tre membri del gruppo.

Audio: La potenza sonora sprigionata da un live dei Pontiak prende letteralmente vita anche grazie alle frequenze emesse dagli amplificatori, creando una sorta di intenso e godibile muro sonoro di grande levatura acustica e capace di esplodere sui presenti sino a investirli di decibel.

Setlist: I Pontiak pescano brani da tutto il loro repertorio, tra discografia passata (Living, Sun On Sun) e pezzi del nuovo Echo Ono. Scivolano via le possenti tracce del presente come Lions Of The Least, Across The Steppe e la più morbida The Expanding Sky e “ombre antecedenti” come l’acida Laywayed, la deflagrante Young e l’immediata oscurità di Shell Skull.

Pubblico: Molto più corposo e numeroso rispetto al live del 2010, tenutosi sempre al Circolo Degli Artisti, totalmente preso dallo spettacolo e interamente travolto dagli “influssi sonori” provenienti dal palco.

Locura: “Grazie come stanno” ha così esordito il bassista Jennings Carney rivolgendosi al suo pubblico in un simpatico quanto affabile italiano.

Momento migliore: La leggerezza scenica di The Expanding Sky, le tenebre ritmiche Shell Skull e la furia di Lions Of The Least.

Conclusioni: Attraverso l’uso di un robusto apparato strumentale e vocale, i tre fratelli Carney son riusciti a costruire sul palco una sorta di tappeto armonico coinvolgente, trascinando il pubblico tra allucinazioni acustiche distorte e potenti registri stilistici senza tempo.

(pubblicato su www.rocklab.it)

Pontiak @ Circolo degli Artisti [Roma] – 02/11/2010


Attitudine e visuals:
Una fattoria della Virginia idealmente proiettata al Circolo degli Artisti; tre fratelli, Van, Lain, e Jennings Carney, pronti a far rivivere la loro “comunità” musicale, miscela di anacronismo e modernità, noise e psichedelia, stoner, folk, southern rock e blues. I Pontiak si presentano con barba incolta e look da hippie-freak anni Novanta, immersi in una misteriosa coltre di fumo per tutta la durata del live; sagome di basso, chitarra e batteria solo percepite, sound carico e rovente quasi unicamente da ascoltare. Lain lacera la batteria con colpi rullanti e incendiari; il cantato di Van è solenne; Jennings muove le corde oscure del suo basso; di tanto in tanto i riflettori lasciano scorgere i loro profili irsuti.

Audio: Gli amplificatori sprigionano volumi ad alte frequenze. L’acustica lascia molto spazio agli strumenti, meno alla voce. Il cantato si sente poco; dell’apparato strumentale è invece udibile ogni piccola sfumatura. La musica dei Pontiak, d’altronde, va ascoltata mettendo in risalto la potenza ritmica della macchina orchestrale.

Setlist: I brani si susseguono vorticosamente con eleganza e pochi intermezzi. L’Intro è affidata alle vibrazioni criptiche di Young, tratta dall’ultimo albumLiving. Si avanza con le distorsioni solenni di Lemon Lady; si afferrano le voci omofone di bassista e chitarrista con This Is Living; si procede all’ascolto conLaywayed, Aestival, Thousand Citrus, White Hands e Shell Skull (entrambe daSun on Sun). Il live culmina in un bis fulmineo e d’impatto.

Momento migliore: difficile da scovare, visto l’avvicendarsi frenetico dei pezzi e l’impeto di emozioni calde e febbrili generate dal sound dell’intero live.

Pubblico: Tanti Barba con leggere spruzzate di Sinapsi eOcchi chiusi alquanto invasati, per un target d’età che oscillava tra i venti e quaranta/cinquant’anni. Tra gli spettatori anche Michael Pitt, interprete di Last Days, Funny Games, The Dreamers e, sfortunatamente per lui, Dawson’s Creek.

Locura: Due ragazzi del pubblico che ciondolavano invasati e inspiegabilmente a ritmo di musica… forse in preda ai fumi coreografici o probabilmente pervasi da qualche altra sostanza “soddisfacente”

Conclusioni: Un’esibizione coinvolgente, fatta di sapienti esplorazioni acustiche e tumultuosi incanti strumentali, totalmente avvolti dalla suadente “nebbia” sonora.

(pubblicato www.rocklab.it)

Pontiak – Maker

Genere: stoner, rock americano, rock psichedelico

Data uscita: 2009

Label: Thrill Jockey

Durata: 41 mins

Sito Web: pontiak.net

Voto: 8.0/10

Dopo l’esordio Sun on Sun, ritornano dalla Virginia con furore i tre fratelli Carney: Lain (batteria), Van (voce e chitarra), Jennings (basso). Maker è un riff crudo e rurale, una strada polverosa fatta di rock, blues, stoner e psichedelia, un soffio vocale da ascoltare al chiaro di luna. Tra rarefatte atmosfere desertiche e quiete profondità, meditative eclissi sonore e furiosi tifoni ritmici si procede a piccoli passi in vista della titanica title-track.

Laywayed è un flusso chitarristico con zampilli vocali. Blood Pride è costellato da siderei accordi blues. Nella vorticosa Wax Worship sono le percussione, una flebile linea vocale e una farneticante chitarra a risorgere dalle tenebre. Headless Conference è una rapida insania acustica mentre Wild Knife Night Fight è un selvaggio coltello noise che combatte l’oscurità. Heat Pleasure è puro caos primordiale. Aestival ha i toni più pacati e meditativi di una solitaria ballata. Maker è il magma pulsante dell’album, un big bang di suoni con esplosioni di riff infuocati. Tredici minuti e mezzo di schizofrenia cosmica. Seminal shining è una dolce e orecchiabile melodia rock accompagnata da voce e chitarra. A chiudere Honey e il blues malato di Aasstteerr.

L’album suona alla grande. È un disco autentico come il forte legame con la propria terra di questi caratteristici cowboys della Virginia.

N.B. “All tracks were recorded live”.

(pubblicato su www.rockaction.it)