Dead Meadow @ Init Club [Roma, 01 aprile 2015]

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Attitudine e visual:

E’ un alone onirico, straniante e lisergico, quello che viene scaraventato sul palco dell’Init come un arcobaleno dai colori fluttuanti durante il concerto dei Dead Meaodw. Il power trio di Washington sembra infatti condurre la dimensione live verso lidi estranei, trasportando il pubblico presente all’interno di una densa coltre di fumo e di suoni. Tra wah-wah e delay, lo psych – stoner della band è un’alternanza di reiterazioni ossessive, lunghe digressioni acide e accelerazioni distorte. Le tenebre compresse del basso di Steve Kille si mescolano alla voce filtrata dai microfoni di Jason Simon – quasi inarrivabile – e alle cangianti incursioni controtempo di Mark Laughlin. Un suono che ondeggia ovattato ed evocativo per tutta la durata del live, sottolineato da mutevoli effetti luminosi.

Audio:

Un’amplificazione dal sapore retrò, con casse Orange in bella vista; tra compressioni, echi vocali, saturazioni, contorsioni sonore, pressioni e rallentamenti ritmici, per una buona resa audio.

Setlist:

La delicatezza corrosiva di The Whirlings e di Such Hawks Such Hounds fanno da apripista. Seguono Good Moaning, Yesterday’s Blowing Back, Indian Bones, la lunga cavalcata allucinogena Eyeless Gaze All Eye/Don’t Tell The Riverman e ancora At Her Open Door, la sabbiosa Rains in the Desert e le contorsioni incendiarie di Sleepy Silver Door. Il bis regalaGreen Sky, Green Lake e ‘Till Kingdom Come.

Momento Migliore:

Eyeless Gaze All Eye/Don’t Tell The Riverman Sleepy Silver Door: picchi di distorsione cosmica.

Pubblico:

Eterogeneo e multiforme per età, look e attitudine al concerto stesso. Dalle anime dark, ai tacchi, dal pogo all’ondeggiamento, dai cinquantenni ai ventenni, da chi cede verso la fine a chi assiste fino agli ultimi secondi del concerto e anche oltre. Una fauna variegata e inaspettata.

Locura:

Non pervenuta

Conclusioni:

Ascoltare i Dead Meadow live è come fare un tuffo nel passato ma con un guizzo di contemporaneità. Tutto appare come un lungo trip fumoso, magnetico e magmatico. Il suono è mastodontico, forse a tratti ridondante e ripetitivo, ma senza apparire mai come un déjà vu scontato. Se su disco l’incisività della band può apparire più corposa, dal vivo il riverbero dei suoni trascina ugualmente i presenti attraverso selve lontane, dando accesso a mondi inesplorati dove i boschi sonori si riempiono di demoni, di alberi uguali e dissimili tra loro.

(pubblicato su www.rocklab.it)

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