Arca – Arca

È una mutazione di pelle e di intenti quella di Alejandro Ghersi, in arte Arca. È una trasformazione consapevole che dalle destrutturazioni rumoriste di “Mutant” approda ad un’elettronica dal taglio minimale, intimista ed emotiva.

Nel suo ultimo disco Arca rivela infatti la sua vera natura, si mette a nudo per condurre l’ascoltatore all’interno del suo malinconico abisso interiore. Il caos cede il passo a un assetto sonoro più morbido, ma che cela nei contenuti debolezze intrinseche e pungenti ossessioni da esperire.

In questo sogno/incubo è la voce di Arca, fredda e catartica, quasi lirica, che, in spagnolo, cesella lividi sull’esistenza e sui suoni, marchi indelebili più umani e meno alieni rispetto al passato, mentre le distorsioni si fondono con la forma canzone.

Un universo interiore, il suo, fatto di ricordi, emozioni e sofferenze dunque che sfiora fragili inquietudini (Piel), lirismo malinconico (Anoche), oscuri tappeti strumentali (Saunter, Urchin, Castration, Whip, Child), nenie solenni (Sin Rumbo, Coraje), illusioni (Fugaces) e delicatezze minimaliste (Miel).

Un disco dalla doppia anima, bambina e adulta, che è trasfigurazione perfetta delle percezioni personali e più profonde del suo stesso creatore; un album che con raffinatezza androgina lascia il segno come le ferite che esso custodisce.

(pubblicato su www.xtm.it)

Arca – Mutant

arca-mutant-album

Arca

Mutant  

2015  

Mute

Mutazione come sinonimo di morbida apertura verso l’esterno, sostanza sonora che si modella sulla trasformazione, sulla tensione e sul caos che sprofonda nell’equilibrio e nell’espansione del suono. Questo è in sostanza il senso di ”Mutant”, secondo lavoro di Alejandro Ghersi, aka Arca.
Se con il precedente “Xen”, le sonorità tendevano a fluttuare verso una sorta di introspezione intimista, con questo album sembrano voler uscire fuori, aprirsi all’ambiente, più carnali e impulsive. Le visioni armoniche si fanno così più concrete, i synth ancora più organici e i beat si contorcono sulle densità sonore. Tutto ruota attorno a intrecci di allucinazioni ora corporee e ora aliene, in un alternarsi di edifici astratti che non disdegnano stanze più marcatamente melodiche.
In questo flusso di coscienza, a metà strada tra il naturale e l’artificiale, scivolano deformazioni astrali (Alive) e suggestioni deturpanti (title track), mentre una leggerezza frivola (Anger) cede il passo a effusioni modulate (Sever) e all’esotismo cibernetico di Snakes. La staticità convulsiva di Umbilical sprofonda infine nel magma di droni con Hymm e En e nella classicità ambientale di Extent e Peonies.
In “Mutant”, Arca costruisce i suoi echi sonori attraverso la forma, a lui più congeniale, della sperimentazione elettronica pura. Ne viene fuori un lavoro dalle suggestioni multiple, cangianti come l’adrenalina in grado di plasmare le sensazioni, mutevoli come le identità di ogni singolo individuo che le ascolta.

(pubblicato su www.xtm.it)

Björk @Auditorium Parco Della Musica, Roma – 29 luglio 2015

bjork-roma-2015Attitudine e visual
È un mantra di elementi dall’indole magica quello messo in atto da Björk sul palco dell’Auditorium Parco della Musica; è un vortice onirico di suoni e visioni che lambiscono la notte romana, attraversandone i contorni, e trasfigurandosi in una maschera sonora di empatia ed emozioni. Björk lancia i suoi incantesimi con la potenza matura e la padronanza perfetta di una voce nuda e cristallina. La puerzza vocale della fata di Reykjavík diviene dunque allucinazione solitaria priva di cori e artifici, mentre la malìa del tutto viene arricchita da una bianca sezione d’archi di quindici elementi – in buona parte femminile – dalle prodezze del mago dell’elettronica Arca (co-produttore dell’ultimo Vulnicura) e dai tocchi primitivi delle percussioni di Manu Delgado. Come un velo di Maya sulla percezione della realtà, il volto di Björk è coperto da un leggero tulle rosa e il suo corpo è un demone immortale, cinto da un vestito rosso di Emanuel Ungaro, che volteggia con la teatrale libertà, fragile ed elegante, di una creatura alata, all’interno di un incatato rituale propiziatorio.

Audio
Pulito e denso, magico e sontuoso, ben intelleggibile in tutte le sue sfumature sonore.

Setlist/ Momento Migliore
Tra fuochi d’artificio, visual sintetici che ripercorrono le trame ritmiche del live su pentagrammi minimalisti, videoclip e filmati che racchiudono in sé celati misteri della natura e della vita, buona parte della setlist ripropone i brani di Vulnicura (unica esclusa è Atom Dance, la tracca cantata in duetto con Antony Hegarty). Paesaggi naturali sorvolano il sortilegio di archi e voce in Stonemilker, mentre pulsazioni elettroniche si addensano in Lionsong e spasimi radiali scuotono History of Touches.

Björk poi alza il microfono al cielo durante la sacrale esecuzione di Black Lake e canta sulle note di Family mentre appaiono le immagini di un cuore aperto da ricucire. Oltre alla trasposizione delle sofferenze da espiare dell’album Vulnicura, che rivive ancora con Notget, Quicksand e l’inferno di fuoco di Mouth Mantra, c’è spazio anche per alcuni brani più datati: pescando tra quelli meno conosciuti e battuti della sua discografia e rendendo l’intero live ancora più esclusivo e arcano. Appare così una versione riarrangiata in maniera più sontuosa di Come to Me (da Debut), Pleasure Is All Mine (da Medulla), I See Who You Are e Wanderlust (da Volta), Harm of Will (da Vespertine), All Neon Like (da Homogenic). Il bis è infine affidato all’elettricità di Mutual Core (da Biophilia).

Pubblico
È un pubblico delle grandi occasioni che sembra totalmente rapito dal magnetismo innato di Björk, che interagisce tra un brano e l’altro con qualche sporadico e flebile grazie. In un’atmosfera quasi mistica, i presenti si lasciano incantare dalla sua voce e dalla sua arte, accennando qualche leggero movimento del corpo e lasciandosi andare a ripetuti applausi e ovazioni fino ad alzarsi in piedi e raggiungere il palco nel bis.

Locura
La visione di un ragazzo del pubblico che ha la testa interamente ricoperta di cannucce verdi per emulare l’artwork di Vulnicura.

Conclusioni
Un concerto di Björk è unico e intenso; è un’alcova di esperienze totali che conducono il pubblico verso un altrove inesplorato, coinvolgendo tutti i sensi. In un itinerario sonoro ipnotico e dalla forte valenza intimista (molto più marcata rispetto ai precedenti tour di Volta e Biophilia), si rifugge dalla sperimentazione fine a se stessa per abbracciare il senso di una solitudine reale all’interno di un live che sembra divenire cura platonica atta a rimarginare ferite sepolte. Sul palco Björk punta alla scarnificazione dell’emozione più autentica, quella che idealmente abbraccia l’universo intero e che, attraverso la musica simbolo di guarigione e contagio al pari dell’amore, crea una sorta di equilibrio nel personale caos primordiale di ognuno, mentre un’aurora boreale interiore illumina le spine più nascoste.

(pubblicato su www.rocklab.it)